giornata emblematica quella di ieri: la conferma di come i mercati sembrino vivere più di futuro che di presente, anticipando quindi le aspettative economico-finanziarie.
Come previsto, la BCE ha nuovamente alzato i tassi dello 0,75%, portandoli al 2%: mai, nella seppur breve vita della Banca Centrale, si era verificato che vi fossero 2 rialzi di fila di questa entità. Per trovare un simile livello in Europa, bisogna andare indietro sino al 2008: una vita fa.
Eppure, non appena la Lagarde ha confermato il ritocco, lo spread, che in quei minuti trattata intorno a 220/221 bp, è repentinamente crollato a 201 bp, portando il rendimento del BTP al 4.04% dal 4,35% delle prime ore del mattino (7 giorni fa era al 4,9%…).
Cosa è successo? E’ crollata l’inflazione? Le paure su una futura recessione erano tutte un bluff? E’ in vista la pace in Ucraina? La Cina ha deposto le mire su Taiwan? Nulla di tutto ciò: tutto invariato, “nulla di nuovo sul fronte occidentale (e anche su quello orientale)”. Sono “solo” cambiate le aspettative (e di conseguenza le prospettive), contribuendo a far virare il “sentiment” del mercato verso il sereno.
Prima dell’intervento della BCE, il mercato “prezzava” il punto di arrivo dei tassi (il così detto pivot) al 3%, da raggiungere nei primi mesi del 2023. Invece, ora il nuovo punto di arrivo è un gradino più sotto, al 2,65%, anche se qualcuno pensa si possa addirittura fermare al 2,25%. In altre parole, nella testa degli operatori è scattato un ragionamento “contrarian” rispetto al rialzo: come se fosse stato deciso un ribasso anziché la decisione opposta. Seppur la stessa Lagarde abbia chiaramente detto che quello di ieri non sarà l’ultimo ritocco verso l’alto, si pensa che oramai il peggio sia alle spalle (oltre allo spread, il rendimento del bund è precipitato all’1,96%, quando solo una settimana fa era al 2,5%). Ben sappiamo come le Banche centrali siano combattute da 2 paure: il rischio inflazione da una parte e il rischio recessione dall’altra. Probabilmente, oramai, quello che fa più paura è il secondo, se è vero che ieri, per la prima volta, la stessa Presidente BCE l’ha citata ripetutamente. In più, cominciano ad esserci “spinte” politiche (non solo la nostra Primo Ministro, ma anche Macron ha espresso preoccupazione per ulteriori manovre restrittive. Nelle parole della Lagarde, inoltre, molti operatori hanno colto una maggiore attenzione verso la stabilità finanziaria, e quindi l’autorità monetaria europea sia oltre modo attenta a non scardinare un equilibrio al momento precario. Si comincia, quindi, a dare grande considerazione a quanto sinora fatto (“progressi sostanziali” le parole testuali della Lagarde), creando attese di un rigore “edulcorato” nel futuro prossimo (probabilmente entro l’anno ci sarà un altro aumento, a cui potrebbe seguirne un ultimo entro febbraio 2023).
Peraltro quella dei tassi non è l’unica arma a disposizione. Almeno due quelle “pronte per l’uso”: la riduzione del bilancio della BCE (il quantitative tightening”, vale a dire la vendita dei titoli acquistati negli ultimi anni, circa € 2.000 MD) e la rivisitazione del Tltro, vale a dire i prestiti agevolati agli Istituti di credito europei. Il fatto che non siano stati fatti riferimenti precisi alla prima e che, relativamente alla seconda, l’atteggiamento, pur inasprendo le condizioni e quindi rendendole più onerose, spingendo le Banche ad accelerare la loro restituzione, non sia apparso così restrittivo, ha ulteriormente contribuito a rasserenare il clima. Un clima che risente anche di quanto sta accadendo oltre oceano: anche là, infatti, si stanno infoltendo le schiere di chi comincia a ritenere che si stia avvicinando il momento, a parte della FED, di una maggior cautela nell’utilizzo dei “ferri del mestiere”, per quanto i dati continuino a confermare un’economia statunitense che gode di buona salute, pur con lievi cenni di cedimento.
I dati di Amazon e Apple (per non parlare di Meta – l’ex Facebook ) confermano una situazione economica non brillantissima. Per la prima i dati non si possono certo definire negativi, con molti indicatori (utile per azione, ricavi del trimestre) in crescita. Unici dati leggermente negativi quelli relativi alle vendite sull’Iphone, cresciute leggermente meno delle previsioni, e quelli sui servizi, anche questi leggermente inferiori alle attese degli analisti. A penalizzare Amazon non tanto i dati relativi al 3° trimestre, seppur cresciuti meno delle previsioni, quanto piuttosto la mancanza di indicazioni sul 4° trimestre, solitamente il più importante dell’anno.
Ultima di settimana difficile per i mercati asiatici, tutti in deciso calo: a Tokyo il Nikkei perde lo 0,9%, mentre in Cina Shanghai fa segnare – 2,10%. Peggio fa Hong Kong, con l’Hang Seng che in questi minuti arriva a perdere il 3,95%.
Futures rivolti all’ingiù, con ribassi tra lo 0,30 e l’1% (Nasdaq).
In calo anche le materie prime: WTI a $ 87,95 (- 1,37%), con il gas naturale Usa che torna sotto i $ 6 (5,775, – 1,9%).
Oro in discesa a $ 1.662 (- 0,28%).
Si riprende invece il gas europeo, che scambia di nuovo sopra i 100€ per megawattora (101,15€).
Spread a 206 bp, con il BTP comunque poco mosso, ad un rendimento del 4,05%.
Bund, come detto, a 1.96%.
Treasury sotto il 4% (3,92%), dopo che Janet Yellen, segretetaria del Tesoro Usa, ha dichiarato di non vedere segni di recessione.
€/$ a 0,997, con il $ in leggero recupero.
Scivola il bitcoin, che scambia a $ 20.296, – 2,15%.
Ps: che Mark Zuckerberg sia un convinto sostenitore del metaverso è dimostrato dal fatto di essere arrivato a cambiare il nome della società da lui creata da Facebook a Meta. Ma, a quanto pare, al momento la sua fiducia non viene ripagata. Solo nella giornata di ieri il titolo è arrivato a perdere oltre il 20%, portando le perdite da inizio anno al 70% (e facendo finire la società fuori dalle 20 top per capitalizzazione), facendola tornare ai valori del 2016. A quanto pare, per ora la sua scommessa è persa, con perdite miliardarie da parte di Reality lab, l’unità di Meta dedicata al metaverso.